Zanzibar – L’isola dei Sultani
18 novembre 2014
E’ passato poco meno di un mese dal primo momento in cui ho assaporato l’Africa, e ricordo precisamente il momento esatto in cui si è aperto il portellone del jumbo che dopo 9 ore di volo mi aveva condotto in un’isola ancora per me inesplorata.
Benvenuta a Zanzibar.
Una vampata di uno sconosciuto caldo umido quasi mi ha tramortito ma incuriosito fin dal primo istante.
Li sotto il sole, su una pista che è un lembo di asfalto sommerso da un mare di verdi prati e palme, aspettando la navetta che mi avrebbe condotto in aeroporto solo un pensiero “dannazione perché non mi sono portata un cambio leggero e fresco da indossare in volo poco prima di atterrare?”.
Rimuginando e assorta in pensieri ormai poco pratici, mi accorgo che è già il mio turno per le pratiche di immigrazione nel paese. Sorpresa! Impronte di tutte e dieci le dita, foto, sorriso ed eccoci a ritirare il bagaglio. Nessun nastro rotante ma tanta buona volontà e la mia valigia è lì che mi aspetta. Caricati bagagli e i relativi proprietari sul minibus, altra sorpresa! La guida è a sinistra! Nel frattempo il cielo si è fatto scuro per regalarci uno scroscio improvviso di pioggia di benvenuto.
Sono stanca, il mio corpo che in volo in modo dispettoso e dispotico non dorme mai, ora vorrebbe riposarsi, ma per nulla al mondo potrei perdermi il primo sguardo su questo nuovo piccolo grande scorcio di mondo che ho la fortuna di poter visitare.
Il nostro pulmino procede serio e sereno in mezzo a un discreto traffico e percorre strade ben tenute contornate da una marea di gente, a piedi ed in bici anche quando siamo oltremodo lontani dai piccoli centri abitati. Dal finestrino? Palazzi grigi con reticoli di ferro, rumori, voci, suoni, sorrisi, case in paglia, galline vaganti, immensi baobab, bancarelle piene di colori, una calma frenesia e laboriosità che vedrò sempre in tutti i villaggi che attraverserò andando ‘a zonzo’ per l’isola nei sette giorni successivi.
Il caldo e la stanchezza purtroppo hanno la meglio su di me e mi costringono a un fresco pomeriggio forzato in camera, in un comodo letto avvolto in bianchi teli con il sibilare dell’aria condizionata finalmente mi addormento.
Al risveglio, scostando un lembo di tenda, mi chiedo, ma solo due ore di fuso possono catapultarmi in luogo “simile alle Maldive”? La risposta è una sola: si!
Appena arrivati sono colpita dai colori bianco e marrone scuro, l’accostamento del legno e tetti in Macuti.
La mattina seguente visito l’intera struttura, e si, la sistemazione migliore è sicuramente la beach bungalow adagiata sulla sabbia cosi da poter dimenticare le scarpe per restare a contatto con l’isola, con la terra, la terra vera.
Impossibile non svegliarmi presto, uscire in terrazza godermi un caffè, ammirare le sfumature violacee e rosee dell’alba simili alla variegatura di una orchidea selvatica. Già, una orchidea selvatica che sconosciuta non si cura di dover dimostrare di esistere perché oltre a essere incurantemente inconsapevole, non si cura di dover apparire, perché “lei è”.
Dalla mia camera sempre in sottofondo, il mare con la bassa e alta marea che è mutevole varietà di colori e paesaggi.
Come non restare affascinati dalla vita che racchiude l’ “unicità” di Zanzibar?
Cambiano i colori, cambia la dimensione dello spazio, cambiano le attività che si svolgono in spiaggia. Scorgo i pescatori della mattina, le donne che tornano verso la spiaggia coperte di verdi fluttuanti vestiti fatti di piccole alghe, turisti in passeggiata verso la barriera, bambini in caccia di telline, i donhi al largo carichi o di merci o di turisti.
“Il mare ritorna” e non posso non fare un bagno ristoratore ! Una fresca doccia, mi lascio asciugare dal vento caldo, e scalza esco dalla veranda per un piacevole aperitivo in spiaggia.
La serata è speciale, una delicata cena a base di pesce all’interno di un bianco gazebo alla sola luce di candele! Piedi nudi nella sabbia, alzo la testa e mi sovrasta un tappeto di vivide e lucide stelle come mai viste prima d’ora.
E’ magnetico, la notte va in scena il cielo africano ed è uno spettacolo unico!
Verso mezzanotte sembrano stelle riflesse anche le luci dei pescatori che con piccole lanterne vanno in caccia di polpi e crostacei da portare l’indomani al mercato. Mi diventa difficile capire dove inizia il mare e dove il cielo, e tutto si fonde in una sola illusione. Solo in lontananza si ode l’onda del potente oceano che si infrange sulla barriera e in un momento simile nessuna parola può o deve essere proferita perché spezzerebbe l’incanto, concesso solo alla brezza che solleva il mormorio delle foglie di palma.
In qualsiasi momento fermandomi mi accorgo di tante piccole vite che pullulano sulla spiaggia e sulla battigia, “vongolette” che si insabbiano, rapidi granchietti, piccoli paguri di cui seguire le tortuose stradine, uccellini e gli abilissimi immancabili corvi. Retaggio di un doloroso passato oggi sfruttano gli ospiti per impossessarsi golosi di frutta e di quante più delizie sia loro possibile.
E sono stata fortunata! Una sera ho avvistato vicino alla ‘cielo in una stanza’ la scimmietta che ha preso qui residenza, e che sfortunatamente una cliente in ben dieci giorni di vacanza non era ancora riuscita a scorgere.
Ma quello che più sorprende, per chi come me è al suo primo viaggio in Africa, è il sorriso contagioso di tutti, e la filosofia “hakuna matata” così lietamente radicata nella loro anima.
E girare per le strade diventa un’esperienza unica e appagante. Per le strade si mangia, si beve, si gioca, si suona e si canta in un veloce ma rilassato formicolio di genti.
Zanzibar è un l’isola, e come tutte le isole, è un luogo magico!
Le ore trascorrono più lente ed è come essere immersi in acqua, in quella strana fluida sensazione che ti rallenta. Il tempo è come entrare in acqua, che non é il nostro ambiente naturale, ma che ci costringe ad essere cauti. Ci rallenta al primo impatto per permetterci di abituarci, così quest’isola fa altrettanto e le giornate diventano piacevolmente lunghissime. Insolito per noi uomini che abbiamo dato un metro di misura al tempo, abbiamo preso questo “spirito” e lo abbiamo rinchiuso, forzato dentro le lancette dell’orologio che funzionano da sbarre al suo essere libero e armonioso.
A Zanzibar il tempo non forza la mano, non si ribella ma riesce comunque a sganciarsi dalla nostra dimensione e desiderio costante e perenne di sequenzialità e dovere.
E finalmente libera, la notte, immersa in blu scuro e denso, respiro profondamente la consapevolezza di un divenire muto e costante… pole pole.
Giulia C.
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